• 12 Gennaio 2024
  • Valentina Bardellotto
  • blog

Tutti noi ci emozioniamo ogni giorno, ogni minuto, ogni secondo…provando emozioni diverse, complesse, a volte contrastanti, con differenti sfaccettature ed intensità.

Ma che cosa sono le emozioni? E a cosa servono? Quali funzioni svolgono?

Ve lo siete mai chiesti?!

Le emozioni sono risposte psico-fisiologiche a stimoli interni o esterni, naturali o appresi.

Sono la nostra bussola interna: rivestono un ruolo fondamentale nei processi di decision making e ragionamento. Ci danno informazioni su come stiamo e ci aiutano a capire i nostri bisogni.

Si tratta della reazione dell’organismo a percezioni o avvenimenti che ne turbano l’equilibrio.

Infatti le funzioni principali di un’emozione sono tre: adattiva, sociale e motivazionale.

Le emozioni possono essere classificate in emozioni primarie, ovvero di base, ed emozioni secondarie. Tra le emozioni primarie troviamo: gioia, rabbia, tristezza, disgusto, paura e sorpresa. Queste sono dette “primarie”, in quanto sono condivise da persone appartenenti a diverse culture e quindi biologicamente radicate (Ekman, 1957).

Non esistono, a livello scientifico, emozioni identificate come migliori di altre, tuttavia, le persone tendono solitamente a distinguere tra le emozioni positive e quelle negative. Quelle negative vengono percepite e considerate come “cattive”, pertanto risulta sconveniente provarle, o per lo meno esprimerle, devono essere soffocate sul nascere, demonizzate e demolite. Questo per evitare etichette spiacevoli davanti alle “dure leggi” dell’apparenza sociale.

Però, gli stati emotivi definiti “negativi”, come la rabbia, la tristezza, l’ansia o la paura, sono anche tra i più comuni, che ci ritroviamo a vivere quotidianamente.

Ad ogni modo, la scienza sostiene la funzione positiva delle emozioni.

Ciò significa che le emozioni ricoprono un ruolo fondamentale per la sopravvivenza. “Esse rappresentano dei mediatori nella relazione tra l’organismo e l’ambiente per il mantenimento dell’organismo stesso” (Scherer 1984; Lazarus, 2006; Gross, 2006; Siemer et al., 2007; Rolls, 2011).

Le emozioni, infatti ci aiutano ad analizzare l’ambiente circostante e preparano l’organismo ad agire nel minor tempo possibile, in modo da garantire la sopravvivenza.

In situazioni di pericolo infatti, il cuore comincia a batterci velocemente, ci sudano le mani, gli arti si paralizzano, la testa si annebbia. Questi sono tutti campanelli d’ allarme, che dovremmo diventare abili a cogliere e che ci dicono che qualcosa non va, che siamo appunto in pericolo. Il pericolo però non deve essere qui inteso come un qualcosa di pratico e tangibile, deve anzi rimandare e far riflettere a tutto ciò che può minare il nostro stato di benessere, non solo fisico, ma anche e soprattutto psicologico.

“Se c’è un pericolo nell’aria il corpo reagisce prima che la mente ragioni” (LeDoux,2015).

Dovremmo diventare abili a cogliere  tutti i segnali che l’ organismo ci manda, in modo da imparare ad analizzarci, comprenderci e salvaguardarci, sempre di più.

Una volta che abbiamo imparato ad analizzare e comprendere gli stati emotivi che stiamo attraversando, ci aspetta una prova ancor più complessa, ovvero saperli gestire. La gestione delle emozioni è una materia ardua, un confine labile, un equilibrio precario in un continuum che va da un eccessivo controllo ad una totale perdita dello stesso, dalla sovraregolazione alla disregolazione emotiva.

La resilienza, l’assertività e le capacità autoregolative possono sicuramente essere degli ottimi alleati.

Inoltre, un altro pensiero può venirci in soccorso e guidarci come un faro nella nostra tempesta emotiva: “la normalità è relativa”.

Eh già, non c’è niente a questo mondo che possa essere realmente definito come “normale”. E le emozioni non fanno eccezione.

L’accezione di normale si riferisce a ciò che avviene con un’ importante frequenza, tanto da avvicinarsi alla media, di un dato fenomeno; mentre viene considerato anormale ciò che avviene sporadicamente rispetto al fenomeno in questione. Questo però è sempre relativo, perché circoscritto a quel singolo fenomeno preso in considerazione.

Penso che il concetto di normalità debba essere sostituito con quello di “funzionalità”. Non si parlerebbe quindi di emozioni normali o anormali, ma si tratterebbe di emozioni funzionali e non, rispetto ad una determinata circostanza. Inoltre, non si perseguirebbe più l’obiettivo di raggiungere una gestione emotiva “normale”, ma una gestione delle emozioni funzionale, per noi, per le nostre relazioni sociali e per la nostra vita.

Dott.ssa Claudia Camarda

Psicologa clinica, specializzata in età evolutiva.

 

Consiglio:

“Il concetto di normalità dovrebbe essere sostituito con quello di “funzionalità”.

“Non ci sono pertanto emozioni normali o anomarli, ma emozioni funzionali per noi, per le nostre relazioni e per la nostra vita”.